La pirateria in ambito alimentare è un problema più serio di quanto si possa pensare: questa contraffazione è un vero e proprio danno per il settore e non è un caso che proprio la giornata odierna sia stata dedicata a una discussione alla Camera sull’argomento in questione. Il commercio è interessato in modo continuo dalle piraterie di qualsiasi tipo e il cibo è un obiettivo fin troppo facile. Ma che dimensioni ha tale fenomeno? Ogni singolo giorno viene caratterizzato da ben 165 milioni di euro che sono sottratti al Made in Italy a livello internazionale: il costo è spaventoso e sempre più insostenibile, anche perché l’agropirateria è riuscita a dar vita a un volume d’affari che registra ogni anno oltre sessanta miliardi di euro, addirittura il doppio rispetto alle esportazioni del nostro paese.
Secondo quanto rilevato dalla Confederazione Italiana Agricoltori (Cia), un quinto dei prodotti sono sottoposti a una certificazione accurata che beneficia anche del controllo europeo. Si tratta, nel dettaglio, di cibi di origine controllata oppure protetta, senza dimenticare le indicazioni geografiche tipiche (Igt), ma tutto questo non impedisce alle contraffazioni di avere spesso la meglio. I casi più diffusi sono quelli del cosiddetto “italian sounding”, vale a dire i prodotti che ricordano solamente il nome di un alimento vero, ma che sono semplicemente un’imitazione, mentre il Made in Italy falso sta spopolando con sette miliardi di euro annui, un business che deve essere necessariamente distrutto.
La stessa Cia ha definito tali beni come veri e propri “bidoni”, i cui oneri sono sostenuti esclusivamente dal nostro paese. Il mercato statunitense è fin troppo pieno di esempi di questo tipo, dunque il contributo a stelle e strisce va ridimensionato assolutamente: le ricette possibili sono diverse, in particolare si dovrebbe dar vita a misure più coraggiose, come ad esempio una task force ad hoc per controllare nel dettaglio la reale tutela del Made in Italy alimentare.