Dieci anni di sperperi non sono certo uno scherzo: è questo il risultato di una gestione non certo brillante da parte delle giunte regionali del nostro paese, un calcolo che si è reso necessario dopo lo scoppio dello scandalo nel Lazio. Ebbene, secondo quanto segnalato e accertato dalla Cgia di Mestre, questi sperperi ammonterebbero a ben ottantanove miliardi di euro, denaro che sarebbe stato speso in eccesso dagli enti locali in questione. Più del 50% di tale importo, inoltre, è andato a confluire nel settore della sanità. Tra l’altro, se si tiene conto del fatto che l’inflazione è salita di quasi ventiquattro punti percentuali nel corso di questo lungo periodo di tempo, allora si può concludere che la spesa regionale ha fatto registrare un incremento del 74,6%.
Ci sono delle precisazioni da fare. Anzitutto, la confederazione veneta ha preso in esame i bilanci disponibili e l’ultimo in tal senso è stato quello del 2010; due anni fa le regioni hanno oltrepassato di 208,4 miliardi di euro le uscite totali. In aggiunta, non si deve neanche dimenticare come l’assorbimento più sostanzioso di spesa sia andato a vantaggio dell’assistenza in campo sociale.
Per quel che riguarda, poi, la diversificazione geografica del fenomeno, ci sono altri dettagli utili: ad esempio, la Valle d’Aosta rappresenta la regione con la spesa pro capite più alta in assoluto (oltre tredicimila euro per la precisione), mentre Marche, Puglia e Lombardia sono state più accorte da tale punto di vista. Molte cose sono cambiate in peggio nel 2001, quando la riforma costituzionale del Titolo V ha assegnato alle regioni tutte quelle funzioni che non sono svolte e affidate in modo esplicito allo Stato. Gli sprechi e gli sperperi, di conseguenza, si sono concentrati in diverse organizzazioni, tra cui si possono ricordare la sanità, l’industria e il trasporto pubblico, inefficienze che a questo punto vanno eliminate senza perdere alcun istante.