Negli scorsi mesi si era parlato con insistenza della possibile cessione della Banca della Svizzera Italiana. Si tratta, nello specifico, dell’istituto di credito più antico del Canton Ticino (la sua fondazione risale al 1873), il quale è specializzato soprattutto nella gestione del patrimonio e nei servizi alla clientela privata e ai gestori esterni. Da almeno quindici anni, inoltre, questa banca fa capo al Gruppo Generali. Ora stanno sorgendo dei dubbi e delle perplessità proprio in merito alla vendita. Per quale motivo?
L’ipotesi che viene preferita in questi ultimi giorni è quella della quotazione in Borsa, come riportato dai media locali, visto che bisogna ancora capire quanto tempo richiederà ancora una eventuale vendita e quale sarà l’effettivo prezzo da sborsare. Per il momento, si è sicuri solamente del fatto che Bsi abbia un valore di bilancio pari a 2,3 miliardi di euro. Questo vuol dire che tutte le offerte finora avanzate non possono essere considerate soddisfacenti, in quanto inferiori rispetto a quanto previsto e atteso da Generali: volendo essere ancora più precisi, la banca di Lugano sembra interessare ai cinesi di Icbc (Industrial and Commercial Bank of China), ai brasiliani di Banque Safra e agli spagnoli di Bankinter, con gli asiatici dati in pole position.
Di conseguenza, l’offerta pubblica iniziale viene considerata come l’unica scelta in grado di rendere il futuro più certo, anche perché si sta parlando di una eventualità che è stata avallata con decisione da Stefano Coduri, l’amministratore di Bsi. Stupisce comunque come tra i possibili acquirenti non figuri alcun istituto di nazionalità elvetica. In particolare, le indiscrezioni che si sono rincorse dallo scorso mese di gennaio hanno assegnato delle possibilità perfino alla Royal Bank of Canada, Julius Baer, Apax e alle società di riassicurazione Swiss Re, Munich Re e Hannover Re. L’impressione più netta è che i dubbi citati in precedenza possano essere dissipati entro la prossima estate.