Nessuno ha mai chiesto ai cittadini tedeschi se l’euro fosse di loro gradimento. Ora, quasi quindici anni dopo che l’Europa ha introdotto la sua moneta unica, un nuovo partito politico è in ascesa e fa parlare di sé per le sue posizioni sfavorevoli alla divisa in questione, premendo per il ritorno al marco. Dunque, la domanda sorge spontanea: la Germania ha intenzione di mettere da parte l’euro? La risposta non è affatto semplice, anche perché si sta parlando della principale economia dell’eurozona, la cui centralità fa dipendere molte conseguenze sugli altri paesi.
Negli anni Novanta del secolo scorso, quando fervevano i preparativi per la creazione dell’euro, il cancelliere di quel periodo, Helmut Kohl si disse fortunato per il fatto che la Costituzione in Germania non consentiva i referendum. Lo stesso Kohl, poi, accetto l’unione monetaria in vista della riunificazione delle due Germanie. Cosa sarebbe accaduto se fosse stato chiesto ai cittadini di decidere sull’adesione o meno? Secondo le opinioni che vanno per la maggiore oggi, probabilmente avrebbero detto no, dato che questa scelta avrebbe significato l’abbandono di una valuta forte come il marco. Un attaccamento simile al passato, insieme alle mancate spiegazioni da parte della politica circa l’abolizione della vecchia moneta, può forse spiegare l’aumento di popolarità dei nostalgici.
Le proteste contro l’eurozona sono diventate più evidenti la scorsa estate, più precisamente quando la Banca Centrale Europea ha deciso di sfruttare delle politiche monetarie piuttosto espansive per supportare i paesi in crisi economica. I mercati internazionali hanno accolto con favore la scelta del presidente Mario Draghi, ma i tedeschi più conservatori dal punto di vista fiscale hanno letto in essa un incentivo all’inflazione. Un pensiero che viene sostenuto in maniera convinta è anche quello di Bernd Lucke, professore di Scienze Economiche presso l’Università di Amburgo, secondo cui in politica nulla è irreversibile, nemmeno l’euro, il quale è stato descritto dal docente in più occasioni come un “errore storico”.