Le sfide relative alla situazione economica dell’eurozona rimangono numerose, tanto che la Bce non si attende un miglioramento in tal senso prima della fine dell’anno: lo ha detto il numero uno dell’Eurotower di Francoforte, Mario Draghi, in un discorso nel corso della sua visita in Cina. L’intervento dell’ex governatore di Bankitalia è avvenuto per la precisione a Shanghai e precede di tre giorni il probabile annuncio dell’istituto relativo alle previsioni di crescita e sull’inflazione per quel che concerne il 2013. Secondo lo stesso Draghi, si stanno evidenziando dei lievi segnali di stabilizzazione, ma lo scenario rimane improntato a un recupero molto graduale e lento.
Si tratta dello stesso punto di vista mantenuto negli ultimi mesi dalla Banca Centrale Europea, di conseguenza l’outlook in questione non dovrebbe subire grossi mutamenti nel secondo semestre (giugno-dicembre). Molti analisti si aspettano una revisione delle stime di crescita (attualmente le più probabili sono caratterizzate da un rallentamento pari a 0,5 punti percentuali), mentre una minoranza degli stessi è convinta che la revisione serva per giustificare una nuova politica di quantitative easing. I numeri suggeriscono comunque che l’area dell’euro rimarrà in fase recessiva per tutta la primavera, il che vuol dire che la contrazione economica sarà durata per sette trimestri di fila.
Gran parte del discorso è stato sfruttato da Draghi per difendere le misure, spesso controverse, che sono state adottate finora, in primis gli acquisti condizionali dei bond governativi, scelta definita utile per sostenere quei paesi che devono assestare i loro bilanci. Le Omt (Outright Monetary Transactions), poi, hanno registrato diverse critiche, tanto è vero che il numero uno della Bce è stato invitato dai Liberali tedeschi a presentarsi dinanzi alla Corte Costituzionale per spiegare ogni decisione. A suo dire, queste transazioni sono state introdotte per mantenere il livello dei rendimenti obbligazionari al di sotto della “soglia panico”, visto che dipendono dall’accettazione di piani radicali di riforma.