La crisi greca non è più un trend topic. Per sei anni le disavventure di Atene, le fibrillazioni dell’euro e le colorate uscite di Yanis Varoufakis hanno occupato Tg e prime pagine dei giornali.
Poi, il buio. Oggi non ce n’è quasi più traccia. Dunque la Grecia si è salvata? No, anzi. Il Paese, senza soldi, è nella situazione di sempre. Se entro luglio non troverà l’ennesimo accordo con i creditori, non avrà il denaro per rimborsare 3,8 miliardi di prestiti della Bce e per pagare stipendi e pensioni. E il rischio Grexit tornerà a farsi sentire. Non solo. A complicare il quadro c’è la drammatica crisi dei rifugiati. L’anno scorso un milione di migranti è sbarcato sulle isole dell’Egeo dalla Turchia. E i negoziati di queste ore tra la Ue e Ankara rischiano di lasciare ad Atene il cerino della gestione della parte più delicata dell’emergenza e di far scricchiolare i fragilissimi equilibri geopolitici tra Balcani, Cipro e le relazioni Grecia-Turchia. Ecco un vademecum in pillole per orientarsi nuovamente nei guai del paese.
La distanza tra Atene e i creditori è ancora considerevole. Atene ha messo sul piatto una manovra sulle pensioni pari all’1% del Pil, composta principalmente da aumenti dei contributi versati dalle imprese e dai lavoratori autonomi. “Le abbiamo già tagliate 11 volte dal 2009, non possiamo ridurle ancora visto che il 52% delle famiglie ha un assegno previdenziale come mezzo di sostentamento primario”, dice il Governo. Tsipras è convinto che questa manovra sia sufficiente a raggiungere gli obiettivi concordati con la Troika – un attivo di bilancio del 3,5% nel 2018 – grazie alla ripresa dell’economia che nel 2015 è scesa (-0,2%) molto meno delle stime (-2%) dell’accordo di luglio.
I creditori dicono invece che non è abbastanza. Lo spread con i bund, sceso da 1.168 punti di giugno 2015 agli 888 di oggi, e la Borsa, balzata del 25% dai minimi di febbraio, sembrano dargli ragione. Bruxelles spinge per varare misure più dure, pari al 2,5-3% del pil.