BCE e tassi, influenza dalla politica (anche economica) italiana? Vi sono alcuni esperti che vedono una correlazione tra l’attesa di Mario Draghi e della Banca Centrale Europea in merito ad un rialzo dei tassi e gli equilibri politici degli stati membri, tra i quali figura anche l’Italia.
Un paio di giorni fa, in conferenza stampa il presidente della BCE aveva ribadito la necessità di mantenere i tassi perlomeno ai livelli attuali sul lungo periodo e di continuare ad acquistare assets con un ritmo mensile di 60 miliardi di euro circa grazie al “quantitative easing”: questo perché l’inflazione in Europa è ancora debole e vi è bisogno di stimoli monetari. Niente di sbagliato questo, se non fosse che i dati di Eurostat mostrino come il quadro sia cambiato rispetto a prima. Ad aprile l’inflazione è salita all’1,9% rispetto all’1,5% di marzo, segnalando come effettivamente l’economia dell’Europa si sia spinta nella direzione giusta.
Come sarebbe giusto regolarsi quindi? Prima di tutto analizzando nello specifico la situazione dei vari stati membri. E’ impossibile non notare, numeri alla mano, come la Germania abbia un’inflazione già al 2%, la Spagna al 2,6%, a differenza di Francia ed Italia, che si fermano rispettivamente ad un 1,4% ed ad un 1,8%. Non è sbagliato quindi dire che sia l’incertezza politica che i dati economici dell’Italia (insieme alla Francia) a frenare sui tassi e su un loro possible aumento: certo, con l’aiuto della quotazione attuale di alcune materie prime come il greggio.
Sono quindi gli “stimoli monetari”a dettare il comportamento in questo caso? Non sembrerebbe proprio.