Mario Draghi non ha dubbi: L’Europa deve smettere di autoimporsi dei dazi a causa delle barriere normative che ha emesso nel tempo. Lo sottolinea all’interno di un articolo pubblicato sul Financial Times dove, di certo, non utilizza giri di parole.
Mario Draghi e le critiche all’Europa
Come sempre l’ex premier italiano, ex governatore della Banca d’Italia ed ex presidente della Bce non le manda a dire, anzi. E non ha paura di sottolineare come l’Unione Europea necessiti di lavorare sulle sue politiche interne. Secondo lui le principali colpevoli di una crescita che non ha propriamente brillato negli ultimi mesi.
Non si tratta della prima volta che Mario Draghi esprime perplessità sulla gestione finanziaria dell’Unione Europea, richiedendo un cambiamento radicale anche da parte degli Stati membri. Soprattutto in un momento come questo dove l’incertezza la fa la padrona a causa della geopolitica e la crescita sta stentando.
È impossibile non pensare ai dazi che Donald Trump ha intenzionato a porre sulle esportazioni europee. Uno strumento che potrebbe rivelarsi pericoloso, soprattutto se unita a politica non adatte da parte dell’Unione Europea. Proprio per via dei suoi diversi ruoli istituzionali, Mario Draghi ha la giusta lucidità per spiegare come l’Unione Europea sia finanziariamente vulnerabile attualmente. E di come ci sia bisogno di eliminare questa forte dipendenza dalla domanda estera.
Europa deve sciogliersi e non autolimitarsi
La criticità, secondo l’ex primo ministro italiano, è di tipo strutturale in Europa che rischia di peggiorare in modo esponenziale proprio grazie alla forte interconnessione globale. La crescita non decolla in Europa perché essenzialmente è frenata dalle barriere interne che hanno agito come dei dazi autoimposti. All’interno dell’articolo Mario Draghi, citando i dati FMI, ha spiegato che tra gli ostacoli sono comparabili all’imposizione di una tariffa sui servizi pari al 110% e a una del 45% sulla produzione.
Tutto ciò, secondo l’esperto, sarebbe frutto di un retaggio antico che considerava lo Stato nazionale come cornice basilare per agire. Un approccio che andrebbe abbandonato soprattutto perché non ha mai portato i risultati auspicati.
È questa quindi è una ragione di più per poter cambiare radicalmente le politiche interne dell’Unione Europea aprendosi maggiormente all’innovazione. Il tutto sarebbe traducibile, sempre per Mario Draghi, in un utilizzo proattivo della politica fiscale che condurrebbe una riduzione del surplus commerciale attraverso maggiori investimenti produttivi. Spingendo allo stesso tempo le aziende a investire di più in ricerca e sviluppo.
Uno strumento questo che potrebbe aiutare l’Unione Europea a sconfiggere la sua dipendenza dalle importazioni e ad aumentare la sua capacità di affrontare e vincere le sfide economiche.