La delusione del flop dell’Ipo Facebook proprio non è andata giù agli investitori che hanno creduto al successo finanziario (poi, smentito) del social network più famoso del mondo. Quotata a 38 dollari, balzata rapidamente a oltre 42 dollari, il titolo ha poi intrapreso una lunga e ripida strada di deprezzamento che ha coinvolto l’intera prima settimana di negoziazione post – prima offerta pubblica. E, nell’occhio del ciclone, è finita Morgan Stanley.
La banca d’affari americana ha infatti guidato l’intero processo di quotazione di Facebook, presentando agli investitori una società solida e in crescita. Peccato che, nel contempo, un suo analista pubblicasse una revisione sulle stime dei ricavi (al ribasso, da più di 5 miliardi di dollari, a circa 4,85 miliardi di dollari per l’intero 2012). Quanto basta per far scattare le indagini da parte della Financial Industry Regulatory Authority, che vuole accertare se la banca d’affari abbia “selettivamente” scelto i clienti da informare sulle reali condizioni previsionali di Facebook.
In altri termini, la Fira vorrebbe sapere se le informazioni di Morgan Stanley fossero realmente di pubblico dominio, o siano state adeguatamente indirizzate a una ristretta fetta di clientela. E così, il capo del Commonwealth Secretatriat, William Gavin, ha reso noto di avere emesso un mandato di comparizione per Morgan Stanley, proprio in relazione al sospetto che alcuni clienti siano stati informati dal fatto che un’analista della banca avesse tagliato le stime di entrata per Facebook prima dell’ingresso in Borsa.
► IPO DI FACEBOOK, UN JACKPOT MILIONARIO
Al di là del fatto che le procedure “siano in linea con le norme” – come dichiarato da Morgan Stanley – la quotazione di Facebook è tutt’altro che priva di aspetti oscuri. Come ad esempio la scelta assunta dal CFO David Ebersman di incrementare del 25% il numero delle azioni da emettere, a soli tre giorni di distanza dall’Ipo. Una decisione che continua a influenzare gravemente sul prezzo del titolo.