Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno aperto nuovi oleodotti bypassando lo Stretto di Hormuz, la cui importanza geopolitica è tale che Cyrus Vance, ex segretario di stato americano, l’ha definito “la vena giugulare del West”. Lo stretto, la cui costruzione era iniziata il 18 marzo del 2008 ed è stata completata alla fine dello scorso mese, rappresenta infatti la corsia di trasporto che l’Iran ha ripetutamente minacciato di chiudere. Da qui passa il petrolio estratto negli Emirati, in Iran, in Irak, in Kuwait. La mossa rischia di ridurre il potere di Teheran sui mercati petroliferi.
L’apertura dei gasdotti arriva tra le accresciute tensioni diplomatiche sul programma nucleare di Teheran. La produzione di petrolio iraniana è scesa ai minimi in oltre 20 anni, in ragione dell’impatto delle sanzioni statunitensi ed europee, spingendo Teheran a reiterare le sue minacce di chiudere lo stretto, che rappresenta un terzo del commercio di idrocarburi via mare del mondo.
Abu Dhabi e Riyadh affermano che gli oleodotti non sono una risposta diretta alle minacce di Teheran. Ma i commercianti di petrolio e gli analisti ritengono rappresenti una chiaro contrappeso, una strategia anti-Iran. I nuovi progetti giungono mentre i prezzi del petrolio sono saliti di nuovo sopra i 100 dollari al barile, in parte a causa del crollo delle esportazioni petrolifere iraniane.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno riempito la prima petroliera dal nuovo oleodotto che collega i giacimenti di petrolio vicino ad Abu Dhabi con il porto di Fujairah, sulla costa emiratina null’Oceano. La struttura, lunga 380 chilometri, costata 3,5 miliardi di dollari, ha una capacità di 1,5 milioni di barili al giorno, ovvero circa il 65 per cento delle esportazioni del paese. “Questo è un progetto molto strategico”, ha detto Mohammed al-Hamli, ministro del petrolio degli Emirati Arabi Uniti, in una cerimonia a Fujairah.
Allo stesso tempo, l’Arabia Saudita ha convertito un proprio gasdotto per consentire il trasporto di greggio. Il gasdotto – 1.200 chilometri di lunghezza e capace di trasportare fino a 2 milioni di barili al giorno ovvero il 25 per cento del petrolio esportato dal paese – si muove dai giacimenti petroliferi della provincia orientale, sulla costa del Golfo, per giungere ad un terminale nei pressi di Yanbu in Mar Rosso.
Fu costruito durante la guerra Iran-Iraq nei primi anni ottanta, quando entrambe le parti stavano attaccando le petroliere nel Golfo, con l’obiettivo di trasportare il petrolio come parte del cosiddetto sistema di condotte Est-Ovest Petroline. La linea è stata successivamente trasformata per consentire il trapsorto di gas naturale e ora Riyadh, sembra averla commutata senza alcuna difficoltà. “Vogliamo essere pronti”, ha detto un funzionario del petrolio saudita. “L’oleodotto ci dà flessibilità”. L’Arabia Saudita ha tre altri oleodotti e gasdotti sul proprio territorio che aggirano lo stretto di Hormuz.
I responsabili politici e i traders dubitano che l’Iran possa continuare a condurre la minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz per due motivi: in primo luogo, è il gateway per tutte le esportazioni di petrolio del paese, così come per le sue importazioni di prodotti alimentari. In secondo luogo, lo stretto è così strategico che uno blocco farebbe immediatamente scattare una risposta militare dagli Stati Uniti e, potenzialmente, da parte di altri paesi che qui hanno i propri interessi e affari.