Fiat ha fatto il punto sulla procedura di mobilità che tanto scalpore mediatico ha generato negli ultimi giorni, riguardante i 19 operai di Pomigliano che la società vorrebbe escludere dalle attività lavorative per consentire il reintegro di altrettanti. Il giorno dopo l’invito del governo a soprassedere e le polemiche dei sindacati, pronti a presentare nuovi ricorsi, hanno probabilmente indotto la compagnia auto torinese a fare un passo indietro sulla rigidità originariamente espressa, e cercare di trovare una soluzione che non renda perfino più tesi gli attuali rapporti sindacali.
Non solo. Fiat rende noto che sulla vicenda sopra espressa vi sarebbero stati “commenti in molti casi non pertinenti e inesatti”, e come – in ogni caso, il provvedimento sia riconducibile al contesto macroeconomico nel quale si trova la compagnia auto, ed è “unicamente condizionato alla domanda del mercato dell’auto italiano ed europeo”.
Proprio in merito al mercato auto (del quale ci siamo occupati poche ore fa), Fiat ritiene che nonostante il calo delle immatricolazioni in Italia nel mese di ottobre abbia rallentato (-12,39%) rispetto a settembre (-25,74%) e la quota di mercato di Fiat Group Automobiles si sia attestata al 29,14% (28,46% un anno fa), le condizioni siano comunque molto critiche.
“La procedura di mobilità ha un iter e dei tempi tecnici prestabiliti” – sottolinea ancora Fiat in una nota – “per consentire ai soggetti preposti e alle organizzazioni sindacali di esaminare le motivazioni. Nessuna iniziativa può essere avviata dall’azienda prima della conclusione della procedura ovvero 45 giorni dall’avvio, e cioé il 31 ottobre scorso”.
Molto critici i sindacati e una buona parte del panorama politico italiano, con il segretario nazionale del Partito democratico, Pier Luigi Bersani, che ricorda come “Sin qui abbiamo visto rompere il giocattolo e non quello che si possa definire un piano”. Il gesto di Fiat, prosegue Bersani, sarebbe “non accettabile”. Gianfranco Carbonato, presidente di Confindustria Piemonte, afferma invece che “non si è mai visto che una sentenza obblighi un’azienda che non ha bisogno di personale aggiuntivo a fare altre assunzioni”.
Non vedo il motivo per cui Fiat dovrebbe rimanere in Italia quando ci sono sindacati che lavorano per farla chiudere in nome della loro folle ideologia.
Un imprenditore serio non può investire per mantenere una azienda che continua a perdere denaro grazie alla rigidità mentale di gente come Landini o Camusso. Oltre a Fiat, se ne andranno altre aziende italiane insieme con quelle che già si sono trasferite in Paesi più civili e meno comunisti.