L’Ilva di Taranto ha chiesto due anni di cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione per circa 6.500 dipendenti. A renderlo noto sono stati i sindacati dello stabilimento pugliese, che ricordano come la cassa partirà nel corso del mese di marzo, e come la recente iniziativa sia parte integrante dell’attuazione degli obblighi di bonifica ambientale previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale. Ad esser coinvolti dalla cassa – ricordava un comunicato Reuters – 957 impiegati nella produzione ghisa, 940 addetti ad acciaieria, 1.574 laminazione, 607 tubi e rivestimento, 1.249 servizi di staff, 1.070 manutenzione.
Nessuna novità – almeno per il momento – per gli altri 4.000 dipendenti di dello stabilimento, che dovrebbero continuare a lavorare con le stesse indicazioni (vedi anche Cassa integrazione gennaio 2013 in forte crescita).
In una nota diramata alla stampa, l’Ilva ricorda come “il piano di ristrutturazione aziendale presentato dalla società prevede anche la chiusura di alcune linee produttive, in particolare dell’altoforno 1, già chiuso, e dell’altoforno 5. Con tale richiesta, l’azienda conferma l’impegno previsto dall’Autorizzazione integrata ambientale”.
Meno ottimista il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella che – riportava ancora il comunicato Reuters – ha definito drammatici i numeri esposti. “Adesso si aprirà la trattativa sindacale per attenuare la cifra per la rotazione, la formazione e eventuali contratti di solidarietà. Sono numeri che prevedono per due anni lacrime e sangue ma è anche vero che investimenti per la bonifica significano anche che l‘Ilva non chiuderà e quindi tra due anni ci sarà nuovo lavoro” – ha poi aggiunto il sindacalista che, pertanto, guarda al futuro con maggiore soddisfazione, grazie ai 2,5 miliardi di euro per la ristrutturazione, e l’assenza di esuberi alla fine del biennio.
Per quanto infine concerne le vicende giudiziarie, la magistratura tarantina ha indagato gli ex amministratori Ilva per disastro ambientale e, in tale ambito, aveva disposto il sequestro giudiziario degli impianti. Il decreto varato del governo ha invece riassegnato la gestione degli altoforni all’azienda, a condizione che vengano rispettate le norme anti inquinamento, sotto la vigilanza di un soggetto garante (vedi anche La cassa integrazione per i lavoratori di Italcementi).