Anche la Germania rischia. A sostenerlo è uno dei più noti consulenti d’Europa, Roland Berger, secondo cui le riforme e gli sforzi per incrementare la competitività potrebbero far passare in secondo piano la necessità di approvare una serie di riforme propulsive, comprimendo la produttività, e spingendo in aumento il costo del lavoro. Insomma, anche la Germania non sarebbe del tutto priva di pericoli e, anzi, tra pochi anni potrebbe diventare il più grave problema del vecchio Continente.
“I fattori di rallentamento e declino del successo tedesco, elencati in parte da Berger” – affermava il quotidiano La Repubblica nella sua edizione online – “in parte da altre fonti, sono stati tema stamane di un lungo e approfondito reportage dell’agenzia di stampa britannica (e globalissima) Reuters. Primo, il costo del lavoro: non ci crederete, ma negli cinque ultimi anni i cui dati sono disponibili (2007-2011) in Germania è cresciuto dell’11,6 per cento, cioè più o meno quanto in Francia e Italia, due paesi cui Angela Merkel chiede ogni giorno con la voce grossa riforme e sacrifici. Se parliamo del debito pubblico, poi, non va così meglio. Il disavanzo corrente è fortemente calato e appare sotto controllo, ma il debito pubblico complessivo è oltre l’80 per cento del prodotto interno lordo, ben sopra il 58-60 per cento dei tempi di Helmut Kohl, quota che corrispondeva ai tetti posti dai Trattati di Maastricht” (vedi anche Se la Germania esce dall’euro).
Con la ricetta di cui sopra, la Germania potrebbe diventare una destinazione meno interessante per gli investimenti. Inoltre, precisa ulteriormente il consulente, il Paese potrebbe subire gli effetti negativi da parte della revisione dei costi del progresso energetico. L’addio al nucleare potrà condurre costi pari a 1.000 miliardi di euro: benefici per l’ambiente e per altri settori, ma anche un problema in un contesto depressivo internazionale come quello attuale (vedi anche Germania dà via libera ad aiuti Grecia).