Le risorse globali dello “shale gas” (il cosiddetto gas scistoso o argillite, molto simile al metano) sono abbastanza ampie da poter coprire i consumi petroliferi del prossimo decennio: si tratta di una stima che è stata effettuata dallo Us Department of Energy, il quale ha preso come riferimento le riserve che vanno dalla Russia fino all’Argentina. In particolare, il calcolo ha preso in considerazione 345 miliardi di barili e quarantadue paesi, vale a dire il 10% delle scorte internazionali di greggio. Le quantità in questione indicano chiaramente come sia proprio la Federazione Russa a detenere il maggior ammontare di gas di cui si sta parlando, con settantacinque miliardi di barili.
Subito dopo seguono gli Stati Uniti e poi la Cina (trentadue miliardi), l’Argentina (ventisette miliardi) e la Libia (ventisei miliardi). Il report, inoltre, ha messo in luce come le formazioni di argillite abbiano provocato la crescita delle risorse di gas naturale di quarantasette punti percentuali. Geologi e diplomatici, comunque, si stanno interrogando sull’argomento e sui possibili risvolti. Per quale motivo? In pratica, come rilevato dai ricercatori della società americana Citigroup, le risorse di shale gas sono state quasi sempre sottostimate dai partecipanti esterni del mercato, visto che la geologia è piuttosto nuova e la tecnologia si sta espandendo in modo rapido.
I vantaggi principali sono quelli che riescono a sfruttare due paesi come il Canada e gli Stati Uniti, dato che vantano le più grandi infrastrutture per lo stoccaggio; in aggiunta, si tratta di nazioni che hanno abbastanza risorse idriche per supportare il fracking, il quale coinvolge il pompaggio di grandi quantità di liquido e sabbia che sono presenti sottoterra. Lo stesso discorso vale per gli idrocarburi. Il potenziale indicato dal rapporto è più che significativo, anche se comunque qualche pecca manca, visto che non è ben chiaro come verranno sostenute le risorse dal punto di vista economico e finanziario.