La Banca Centrale della Turchia ha alzato i tassi di interesse di 50 punti base, mentre rimangono invariati i tassi repo e gli overnight. Una decisione che pare presa per prepararsi a una possibile riduzione del piano di allentamento monetario della Federal Reserve, anche in vista della pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione del Fomc.
La paura del governo di Ankara è una possibile stretta fa parte degli Stati Uniti che porrebbe fine alla liquidità a basso costo degli ultimi anni, provocando un allontanamento degli investitori che potrebbero decidere di spostare i loro flussi finanziari e trovare investimenti più redditizi.
Preoccupazione più che legittima considerando che, attualmente, per un dollaro ci vogliono 1,95 lire turche mentre il rapporto di cambio con l’euro è di 2,65, il minimo storico assoluto.
Un potenziale deflusso di capitali dalla Turchia andrebbe a collocarsi in una fase già complessa per il Paese, che deve fare fronte a un rallentamento del fronte della crescita dopo dieci anni di boom, anche se la situazione non è così critica come si potrebbe pensare.
Sicuramente l’economia turca soffre della mancanza di capitale finanziario, fisico e umano, tanto che il Paese registra un passivo pari al dieci per cento nelle partite correnti. Questo dato, che proviene dall’Eurostat, rende la lira turca vulnerabile sui mercati e condiziona in modo negativo la stabilità valutaria, anche se il governo di Ankara, da tempo, cerca di agire sulla stabilità dei prezzi.
Se a maggio Moody aveva alzato il rating lasciando intendere che investire in Turchia era meno rischioso, le proteste di piazza e le violenze tra poliziotti e manifestanti di giugno hanno reso la situazione più difficile e la credibilità di Erdogan più debole a livello internazionale. Ciò, naturalmente, ha provocato una frenata negli investimenti, in quanto gli investitori temono che un governo debole presti meno attenzione alle riforme economiche.
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