Il CFA (Franc de la Comunauté français d’Afrique) è una moneta adottata da 14 paesi del centro Africa, per lo più ex colonie della Francia, oggi nell’occhio del ciclone per le dichiarazioni di Di Maio e Battista. La moneta nasce nel giorno degli accordi di Bretton Woods, ed è a tutti gli efffettti una moneta comune, legata inizialmente al franco francese, e ora all’euro.
Secondo molti, a partire da Mawuna Koutonin, si tratta di una moneta “coloniale”, per controllare i vari paesi che la adottano. Secondo altri, è una moneta che stabilizza i 14 paesi che la usano.
La verità nel mezzo?
La moneta CFA viene stampata dalla banca centrale francese, e trattenuta, al 50%, tra e riserve monetarie. Nel suo intento, dovrebbe garantire la stabilità finanziaria e la gratuità dei pagamenti interbancari nell’area di adozione. È effettivamente un’eredità della Francia coloniale, ma, nelle spiegazioni dei suoi detrattori (molti) ci sono alcune imprecisioni.
A partire dalle riserve, che trattenute dalla banca francese, toglierebbero risorse ai governi africani. In realtà, tutte le banche centrali detengono riserve, che servono ai saldi di compensazione nei pagamenti interbancari. Nessun paese al mondo utilizza lo stampato per finanziare gli Stati, che si autofinanziano attraverso le obbligazioni e le tasse.
Nel caso specifico del CFA, le riserve servirebbero a garantire un cambio fisso con l’euro (un Fca vale circa 0,0015 euro). Anche qui, il cambio può essere gestito per legge, e non per tecniche bancarie. I detrattori del Fca vorrebbero investire i 10 miliardi di riserve per lo sviluppo dei paesi africani. Ma come detto le riserve non servono a questo scopo nei sistemi bancari moderni.
Casomai si potrebbe argomentare molto sul cambio fisso, che garantirebbe ai produttori francesi dei vantaggi nelle esportazioni verso quei paesi africani, sfavorendo invece i produttori locali.