La Cina taglia i tassi per consentire all’economia di andare avanti senza troppi scossoni. Soprattutto dopo la bancarotta annunciata dal colosso Evergrande.
Cosa sta accadendo in Cina
Spesso tendiamo a vedere la Cina come quel gigante economico in grado di trainare anche gli altri. Lo abbiamo visto anche nel momento più difficile della pandemia come l’andamento della sua produzione e la sua economia in generale abbiano avuto un peso specifico in tutto il mondo.
E ora che il colosso immobiliare cinese sta cedendo, colpito da una crisi senza precedenti, i timori sono tanti e sono a livello globale. I mercati azionari sono tra i più suscettibili ed è inutile sottolineare come vi siano state ripercussioni per quel che concerne le piazze della vecchia Europa.
Dobbiamo però concentrarci di più su quello che sta accadendo in Cina in questo momento. La Banca centrale cinese ha infatti nuovamente abbassato i tassi di riferimento nel tentativo di evitare il rallentamento della crescita.
Questo ha portato il tasso Lpr a un anno, che rappresenta il parametro di riferimento dei tassi più vantaggiosi che le banche possono offrire alle imprese e alle famiglie, a scendere dal 3,55% al 3,45%.
Un valore che continua a rimanere sotto le attese del mercato. L’istituto centrale ovviamente sta mettendo in campo ogni possibile azione legittima per mantenere alta la crescita del paese.
Crisi di Evergrande problematica
Dobbiamo sottolineare come la crisi di Evergrande non sia qualcosa di totalmente inaspettato. Almeno per chi ricorda come già due anni fa i clienti richiedessero a gran voce di riavere i propri soldi. Il fatto che abbia deciso di dichiarare bancarotta ha semplicemente istituzionalizzato la situazione.
L’istanza di fallimento è stata presentata presso il Tribunale di New York, invocando il capitolo 15 del codice fallimentare statunitense. In questo modo cercando una sorta di protezione dai propri creditori nella fase di ristrutturazione.
Al momento sono attivi in tal senso colloqui tra le Isole Vergini Britanniche, le Cayman e Hong Kong per riuscire a salvare la situazione il più possibile. Il fallimento è avvenuto dopo una inadempienza di debito, con un passivo accumulato superiore ai 340 miliardi di dollari. Numeri che corrispondono al 2% del PIL cinese e anche di ben altre nazioni.
Basta questo a comprendere le proporzioni del potenziale disastro non solo per la Cina ma anche per coloro che con lei mantengono importanti relazioni d’affari. Non stupisce quindi sia che la Banca centrale cinese stia correndo ai ripari, sia che il resto del mondo guardi con il fiato sospeso a quello che sta succedendo.