Un editoriale al veleno, quello comparso pochi giorni fa sul New York Times, rischia di lasciare strascichi altrettanto polemici tra i vertici di Goldman Sachs. Protagonista indiscusso della vicenda è Greg Smith, un dirigente di medio livello che lavorava negli uffici di Londra della banca d’investimenti americana, e che si è dimesso scrivendo un articolo sul quotidiano statunitense lanciando durissime accuse ai suoi superiori.
Diverse sono le risposte (pubbliche o silenziose) che Goldman Sachs ha avanzato per rispondere alle critiche mosse da Smith. In una nota sottoscritta da Lloyd Blankfein (amministratore delegato) e Gary Cohn (presidente del consiglio di amministrazione), i vertici hanno dichiarato che esamineranno le questioni chiamate in causa dalla denuncia di Smith, aggiungendo tuttavia che “in un’azienda delle nostre dimensioni, non è scioccante che qualcuno si lamenti, ma la sua opinione non rappresenta quella di una banca di oltre 30 mila persone”.
“Ci dispiace che l’opinione di un singolo individuo” – prosegue la nota – “venga così amplificata da un giornale”. La banca, attraverso i principali esponenti, sembra pertanto respingere definitivamente le accuse di “tossicità” lanciate da Smith.
A rincarare la dose su quanto accaduto anche William Cohan, analista dell’agenzia Bloomberg, già autore del libro “Money and power: how Goldman Sachs came to rule the world” (ovvero, Denaro e potere: come la Goldman Sachs è riuscita a conquistare il mondo). “L’aspetto più straordinario dell’articolo di Smith” – dichiara l’analista – “non sta nelle cose che ha detto, in buona parte già conosciute, ma nel fatto che sia stato pubblicato. È semplicemente senza precedenti che un banchiere della Goldman abbia rotto il muro dell’omertà che circonda da sempre la banca. Per quasi un secolo e mezzo, la regola non scritta della Goldman Sachs era stare il più possibile lontani dalla stampa, tranne nei rari casi quando veniva concordato un articolo per glorificarla”.