Il fatto che ben il 50% delle imprese italiane (la metà esatta dunque) si ritrova in uno stato di fallimento nel giro dei primi cinque anni di vita non fa certo dormire sonni tranquilli: il dato in questione, preoccupante e triste allo stesso tempo, è stato diffuso dalla Cgia di Mestre, l’associazione che rappresenta le aziende di piccole dimensioni e gli artigiani. Volendo essere più precisi, la stessa confederazione ha sottolineato come una percentuale così alta rispecchi la difficoltà enorme e grave che stanno affrontando queste imprese, in primis quelle che sono gestite e comandate da imprenditori alle prime armi. Si tratta soltanto di semplice inesperienza oppure la crisi economica internazionale ci sta mettendo uno zampino gigante?
Secondo Giuseppe Bortolussi, numero uno della Cgia veneta, ha aggiunto altri commenti importanti in questo senso: in particolare, i neoimprenditori che vivono nel nostro paese si trovano ad affrontare degli ostacoli più grandi di loro, quali le tasse e la pressione fiscale, ma anche la burocrazia e la totale assenza di liquidità (non è un caso che il credit crunch sia ancora un problema cronico e senza alcuna soluzione all’orizzonte). Chiunque volesse aprire un’azienda parte già svantaggiato e i primi mesi rappresentano un vero e proprio inferno.
Tra l’altro, c’è una buona componente di imprenditori che non possiede i requisiti necessari e adeguati per svolgere questo mestiere, ma le responsabilità sono più grandi quando non si nota alcun sostegno dall’esterno, tanto da spingere molte persone al gesto estremo come sta accadendo da diverso tempo a questa parte. I ventitre suicidi che si sono verificati tra i piccoli imprenditori non sono certo una coincidenza, dato che coprono un arco temporale troppo breve (appena quattro mesi); per tutte queste ragioni, i meccanismi devono essere cambiati e migliorati, altrimenti le spirali pericolose continueranno a stritolare in maniera sempre più forte e senza alcuna distinzione.